Re: Autori e libri (thread aperto)
Inviato: gio giu 07, 2018 7:32 pm
Voci di Carmelo Bongiorno
L’equivoco che da sempre contraddistingue un’idea generica e rassicurante relativa alla natura della fotografia riguarda il presunto rapporto tra questa forma di espressione e il reale. Il problema è che, allo stesso modo del cinema, la fotografia quasi sempre utilizza gli elementi della realtà ricomponendoli in un’architettura visuale riconoscibile, verosimile.
L’immagine fotografica, però, è struttura espressiva molto più ambigua di quanto si sia portati a pensare; è territorio della perdita di senso, luogo senza coodinate spazio-temporali, oceano di significanti. Ma ancor di più è possibile affermare come un’immagine non possa racchiudere tutto il suo senso (ammesso che ne abbia) in se stessa. Ogni fotografia è una sorta di inevitabile emersione onirica, di superficie schiumosa e instabile di un un universo parallelo, sottostante e sovrastante l’immagine stessa. Insomma, ciò che noi vediamo di uno scatto fotografico è solo l’inizio di un viaggio, la punta di iceberg sotto il quale esiste un abisso. Quest’ultimo è un non luogo nel quale le convezioni commercial-piccolo borghesi della realtà si smaterializzano arrivando a far intravedere l’essenza irrappresentabile delle cose. E in un simile contesto il fotografo diviene macchina, vero e proprio strumento di ricezione del non visibile, del non raffigurabile.
Tale preambolo ci introduce alla lettura delle opere di Carmelo Bongiorno, autore siciliano già premiato nel 1989 al Festival di Arles (European Kodak Award) e chiamato a rappresentare l’Italia al Mois de la photo à Paris nel 1993.
I suoi scatti sono presentati nell’elegante e rigoroso volume intitolato Voci, libro pubblicato nel settembre 2010 dalle Edizioni Postcart.
Spazi occupati da vertiginose oscurità, improvvisi e iquietanti bagliori, forme umane che emergono dal nulla, scie di luce che arrivano da un altrove non rintracciabile, sagome deformate di edifici, ombre senza dimensione, spazi naturali che alludono a paesaggi da incubo, possibili esistenze in cerca d’autore, brandelli di corpi privi di materia. Le opere di Carmelo Bongiorno si manifestano al fruitore in tutta la loro complessità. Il caos visionario di un bianco e nero mosso, e mai nitido, trova un suo miracolso equilibrio nella forza evocativa delle immagini. Non c’è sterile rappresentazione nelle fotografie di Bongiorno, semmai il tentativo di cogliere tutte quelle risonanze del mondo che il nostro sguardo pigro e imborghesito tende a rimuovere in un supremo tentativo di sfuggire al non senso di tutto.
Bongiorno lavora in quel territorio di confine tra l’immaginazione a occhi aperti e la sfera onirica, vola instancabile da un’evocazione all’altra senza cercare (o peggio, dare) spiegazioni ma semplicemente abbandonandosi a una sorta di sensibilità automatica, di desiderio poetico/filosofico di esprimersi nello stato di grazia generato dall’incoscienza. I suoi fantasmi inquieti ci parlano della nostra (non) vita, dei fantasmi che tutti noi siamo in una società in cui tutto appare fin troppo chiaro, leggibile, dunque tragicamente concreto.
© CultFrame – Punto di Svista 11/2010
http://www.cultframe.com/2010/11/voci-l ... bongiorno/
otto.
L’equivoco che da sempre contraddistingue un’idea generica e rassicurante relativa alla natura della fotografia riguarda il presunto rapporto tra questa forma di espressione e il reale. Il problema è che, allo stesso modo del cinema, la fotografia quasi sempre utilizza gli elementi della realtà ricomponendoli in un’architettura visuale riconoscibile, verosimile.
L’immagine fotografica, però, è struttura espressiva molto più ambigua di quanto si sia portati a pensare; è territorio della perdita di senso, luogo senza coodinate spazio-temporali, oceano di significanti. Ma ancor di più è possibile affermare come un’immagine non possa racchiudere tutto il suo senso (ammesso che ne abbia) in se stessa. Ogni fotografia è una sorta di inevitabile emersione onirica, di superficie schiumosa e instabile di un un universo parallelo, sottostante e sovrastante l’immagine stessa. Insomma, ciò che noi vediamo di uno scatto fotografico è solo l’inizio di un viaggio, la punta di iceberg sotto il quale esiste un abisso. Quest’ultimo è un non luogo nel quale le convezioni commercial-piccolo borghesi della realtà si smaterializzano arrivando a far intravedere l’essenza irrappresentabile delle cose. E in un simile contesto il fotografo diviene macchina, vero e proprio strumento di ricezione del non visibile, del non raffigurabile.
Tale preambolo ci introduce alla lettura delle opere di Carmelo Bongiorno, autore siciliano già premiato nel 1989 al Festival di Arles (European Kodak Award) e chiamato a rappresentare l’Italia al Mois de la photo à Paris nel 1993.
I suoi scatti sono presentati nell’elegante e rigoroso volume intitolato Voci, libro pubblicato nel settembre 2010 dalle Edizioni Postcart.
Spazi occupati da vertiginose oscurità, improvvisi e iquietanti bagliori, forme umane che emergono dal nulla, scie di luce che arrivano da un altrove non rintracciabile, sagome deformate di edifici, ombre senza dimensione, spazi naturali che alludono a paesaggi da incubo, possibili esistenze in cerca d’autore, brandelli di corpi privi di materia. Le opere di Carmelo Bongiorno si manifestano al fruitore in tutta la loro complessità. Il caos visionario di un bianco e nero mosso, e mai nitido, trova un suo miracolso equilibrio nella forza evocativa delle immagini. Non c’è sterile rappresentazione nelle fotografie di Bongiorno, semmai il tentativo di cogliere tutte quelle risonanze del mondo che il nostro sguardo pigro e imborghesito tende a rimuovere in un supremo tentativo di sfuggire al non senso di tutto.
Bongiorno lavora in quel territorio di confine tra l’immaginazione a occhi aperti e la sfera onirica, vola instancabile da un’evocazione all’altra senza cercare (o peggio, dare) spiegazioni ma semplicemente abbandonandosi a una sorta di sensibilità automatica, di desiderio poetico/filosofico di esprimersi nello stato di grazia generato dall’incoscienza. I suoi fantasmi inquieti ci parlano della nostra (non) vita, dei fantasmi che tutti noi siamo in una società in cui tutto appare fin troppo chiaro, leggibile, dunque tragicamente concreto.
© CultFrame – Punto di Svista 11/2010
http://www.cultframe.com/2010/11/voci-l ... bongiorno/
otto.