"La banalità del canale"
- Carlo Riggi
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"La banalità del canale"
Ci pensate, arrivare a Venezia prima che fossero già passati gli altri fotografi, i Roiter, i Berengo, e tutta la massa quotidiana di sparatutto? Che meraviglia! E invece no, foto altrimenti stupefacenti, diventano pura banalità.
Lo dico io, la disgrazia dei fotografi sono i fotografi...
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Ciao
Carlo
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- MarcoBiancardi
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Re: "La banalità del canale"
Carlo, non fare il modesto: lo sai benissimo che questa simpatica foto non è per nulla banale !
-
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Re: "La banalità del canale"
Mi piace molto, il riflesso scuro sotto le gondole fa sì che queste sembrino posizionate verticalmente nello spazio, con un effetto di straniamento dimensionale affascinante. Un saluto.
- Carlo Riggi
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Re: "La banalità del canale"
D'accordo, può essere una buona foto, ma non può certo suscitare alcuno stupore.
Penso che molta della gloria dei vecchi maestri sia legata al fatto di essere arrivati per primi, o semplicemente di essere arrivati (penso alle guerre). Riguardavo ieri "Essere Venezia", di Fulvio Roiter. Foto ben fatte, ma anche molte banalità a guardarle con gli occhi di oggi. A suo tempo sembravano delle foto stupefacenti.
Grazie a tutti!
Penso che molta della gloria dei vecchi maestri sia legata al fatto di essere arrivati per primi, o semplicemente di essere arrivati (penso alle guerre). Riguardavo ieri "Essere Venezia", di Fulvio Roiter. Foto ben fatte, ma anche molte banalità a guardarle con gli occhi di oggi. A suo tempo sembravano delle foto stupefacenti.
Grazie a tutti!
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Carlo
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Re: "La banalità del canale"
La stessa cosa che penso ogni volta che vado a Scanno....
Maurizio Cassese
- Carlo Riggi
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Re: "La banalità del canale"
Ciao
Carlo
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- MarcoBiancardi
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Re: "La banalità del canale"
La stessa cosa l’ho pensata anch’io scherzosamente per la Medicina: se avessi esercitato nell’ottocento esisterebbe senz’altro una Sindrome di Biancardi
- Carlo Riggi
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- Carlo Riggi
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Re: "La banalità del canale"
Però, al di là delle battute, questo mi sembra un tema interessante, da Agorà. Perché credo davvero che sia una grande frustrazione per noi vedere che tutto ormai è stato fotografato, tutto ormai è conosciuto sul piano percettivo.
Credo che questo attenui moltissimo, se non addirittura annulli, qualunque ambizione della fotografia alla testimonianza o al documento. E allora che si fa? La tentazione di fronte a scene già viste è quella del "famolo strano", cioè creare del sensazionalismo intorno alle proprie foto, esagerando spesso in fase di post-produzione. A me non sembra questa la strada. Se in effetti le foto degli autori alzano sempre più l'asticella della qualità, non è inseguendo record di bellezza che si può ambire ad apportare qualcosa di nuovo in fotografia.
Continuo a pensare che la strada sia quella di mettersi in contatto sempre più con la propria sensibilità, col proprio mondo interno. Anche rinunciando al facile consenso, se necessario. In questoincontro è, e sarà sempre, l'originalità, all'interno di un percorso. E questo può avvenire anche in presenza del "déjà vu", e anche in presenza di foto poco appariscenti e spettacolari.
Credo che questo attenui moltissimo, se non addirittura annulli, qualunque ambizione della fotografia alla testimonianza o al documento. E allora che si fa? La tentazione di fronte a scene già viste è quella del "famolo strano", cioè creare del sensazionalismo intorno alle proprie foto, esagerando spesso in fase di post-produzione. A me non sembra questa la strada. Se in effetti le foto degli autori alzano sempre più l'asticella della qualità, non è inseguendo record di bellezza che si può ambire ad apportare qualcosa di nuovo in fotografia.
Continuo a pensare che la strada sia quella di mettersi in contatto sempre più con la propria sensibilità, col proprio mondo interno. Anche rinunciando al facile consenso, se necessario. In questoincontro è, e sarà sempre, l'originalità, all'interno di un percorso. E questo può avvenire anche in presenza del "déjà vu", e anche in presenza di foto poco appariscenti e spettacolari.
Ciao
Carlo
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- MarcoBiancardi
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Re: "La banalità del canale"
io non sono molto d'accordo con questo senso di frustrazione, Carlo.Carlo Riggi ha scritto: ↑lun mag 14, 2018 5:35 pmPerò, al di là delle battute, questo mi sembra un tema interessante, da Agorà. Perché credo davvero che sia una grande frustrazione per noi vedere che tutto ormai è stato fotografato, tutto ormai è conosciuto sul piano percettivo.
Credo che questo attenui moltissimo, se non addirittura annulli, qualunque ambizione della fotografia alla testimonianza o al documento....
... Continuo a pensare che la strada sia quella di mettersi in contatto sempre più con la propria sensibilità, col proprio mondo interno. Anche rinunciando al facile consenso, se necessario. In questoincontro è, e sarà sempre, l'originalità, all'interno di un percorso. E questo può avvenire anche in presenza del "déjà vu", e anche in presenza di foto poco appariscenti e spettacolari
In un certo senso sì, è stato già detto tutto, i grandi temi universali del sentire umano sono stati già indagati profondamente ed espressi nelle grandi vette dell'arte, per limitarmi ad esempio al Teatro e alla Letteratura potrei citare Sofocle o Shakespeare, Goldoni o Brecht, Tolstoj o Manzoni...
Ma per questo motivo non esistono più oggi degli scrittori o è diventata forse inutile la Letteratura?
Io penso di no e ritengo sempre valido il motto della Secessione Vienese: der Zeit ihre Kunst, der Kunst ihre Freiheit, a ogni epoca la sua arte, all'arte la sua libertà e infatti ogni epoca ha sempre prodotto le sue espressioni artistiche, nei suoi svariati campi.
Vi sono ciclicamente le grandi crisi, come accaduto alla Musica al volgere del XIX secolo, quando pareva non poter andare oltre, ma sono arrivate poi le ulteriori espressioni artistiche del novecento, come ad esempio la Seconda Scuola di Vienna o il jazz.
La Fotografia, poi, non è solo arte, è anche documento e testimonianza, vi è dunque e vi sarà sempre tanto spazio per documentare e testimoniare i nostri non facili tempi, la nostra crisi e quelli futuri.
L'evoluzione tecnologica della Fotografia, il suo essere diventata ubiquitaria, immediatamente fruibile e trasmissibile, ne ha poi secondo me accentuato la sua funzione di linguaggio, in parte sì involgarendola, ma comunque rendendola fruibile e utilizzabile da chiunque, non solo dalle elite degli "artisti fotografi".
Quindi secondo me se è giusto "mettersi in contatto sempre più con la propria sensibilità, col proprio mondo interno", occorre anche restare legati all' oggi, al nostra quotidianità, indagando quel nesso tra il nostro presente e ciò che è universale: è anche così che la Fotografia può continuare la ricerca della sua funzione umanistica e ravvivarla.
- Alessandro Saponaro
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Re: "La banalità del canale"
Il soggetto sarà già stato visto 70 milioni di volte, ma questa immagine è unica.
Il che non fa altro che aumentarne il valore.
Favolosa la composizione, le ombre, le posizioni in cui hai colto i gondolieri, il fatto che ne manchi uno, il ripetersi delle maglie a righe, e potrei continuare per un po'.
Sempre bravissimo Carlo!
Il che non fa altro che aumentarne il valore.
Favolosa la composizione, le ombre, le posizioni in cui hai colto i gondolieri, il fatto che ne manchi uno, il ripetersi delle maglie a righe, e potrei continuare per un po'.
Sempre bravissimo Carlo!
"A good traveler has no fixed plans, and is not intent on arriving" (Lao Tzu)
www.alessandrosaponaro.com
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- Carlo Riggi
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Re: "La banalità del canale"
Grazie Alessandro!
Marco, in realtà mi pare che siamo abbastanza d'accordo. Specie lì dove entrambi vediamo un futuro per la fotografia, in qualche modo entrambi riferendoci alla sensibilità personale, quella sì, unica, anche con soggetti simili o già visti.
Credo che possiamo concordare anche sul fatto che l'evoluzione delle arti non passi dall'aumentare l'impatto o il "volume" dell'opera, mentre proprio questa sembra spesso la soluzione scelta dai fotoamatori, quella di esasperare i toni e introdurre pirotecnici effetti speciali pur di rendere interessante un'immagine.
Quel che mi interroga di più del tuo intervento è il continuare a pensare alla fotografa come documento e testimonianza. Questo ci allontana un po' nei nostri ragionamenti, avendo io posto in premessa che tutto fosse già visto e raffigurato. Probabilmente hai ragione tu, questi nostri tempi critici meritano di essere rappresentati e testimoniati. In che modo?
Forse in modo diverso che in passato, quando bastava "riprodurre" la realtà per svolgere questo compito. Oggi abbiamo un eccesso di riproduzione, non serve. Mi colpì l'opinione di un fotografo, tempo fa (purtroppo non ricordo chi fosse), che disse che oggi fare il reporter non consiste più nel raccontare eventi o situazioni, ma nel creare curiosità intorno ad essi.
Forse questa è una chiave possibile per leggere e dipanare questo momento delicato, caratterizzato da un "eccesso di visibilità", avvicinando la fotografia di testimonianza alla fotografia d'arte.
Marco, in realtà mi pare che siamo abbastanza d'accordo. Specie lì dove entrambi vediamo un futuro per la fotografia, in qualche modo entrambi riferendoci alla sensibilità personale, quella sì, unica, anche con soggetti simili o già visti.
Credo che possiamo concordare anche sul fatto che l'evoluzione delle arti non passi dall'aumentare l'impatto o il "volume" dell'opera, mentre proprio questa sembra spesso la soluzione scelta dai fotoamatori, quella di esasperare i toni e introdurre pirotecnici effetti speciali pur di rendere interessante un'immagine.
Quel che mi interroga di più del tuo intervento è il continuare a pensare alla fotografa come documento e testimonianza. Questo ci allontana un po' nei nostri ragionamenti, avendo io posto in premessa che tutto fosse già visto e raffigurato. Probabilmente hai ragione tu, questi nostri tempi critici meritano di essere rappresentati e testimoniati. In che modo?
Forse in modo diverso che in passato, quando bastava "riprodurre" la realtà per svolgere questo compito. Oggi abbiamo un eccesso di riproduzione, non serve. Mi colpì l'opinione di un fotografo, tempo fa (purtroppo non ricordo chi fosse), che disse che oggi fare il reporter non consiste più nel raccontare eventi o situazioni, ma nel creare curiosità intorno ad essi.
Forse questa è una chiave possibile per leggere e dipanare questo momento delicato, caratterizzato da un "eccesso di visibilità", avvicinando la fotografia di testimonianza alla fotografia d'arte.
Ciao
Carlo
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Re: "La banalità del canale"
"oggi i nostri occhi vedono talmente tante immagini che si affollano e accavallano mutando giorno per giorno l' ambiente geografico e sociale in cui ciascuno si immagina di vivere, una rappresentazione della realtà, che significa vedere non la realtà ma una "certa" realtà, cioè una parte, quella che appare nell' inquadratura o nel filmato e che è stata scelta per noi da altri, così oggi noi conosciamo e vediamo quanto ci è proposto secondo una prospettiva che non ci appartiene, che dipende da una diversa sensibilità o addirittura dall' interesse di farci vedere una certa cosa e non altro"
tratto da Un'alluvione di Immagini di Marino Livolsi
forse bisognerebbe riuscire a fare un reset mentale e ricominciare a vedere con i propri occhi
otto.
tratto da Un'alluvione di Immagini di Marino Livolsi
forse bisognerebbe riuscire a fare un reset mentale e ricominciare a vedere con i propri occhi
otto.
Re: "La banalità del canale"
Carlo in parte hai ragione, ma poi ti smentisci con questa immagine originale e molto interessante.
Per quanto attiene al discorso fotografo documentarista, confesso che io mi sento di appartenere a questa categoria e per questo le mie foto possono essere spesso banali in particolare se prese singolarmente, ma il problema maggiore credo che sia in una società sempre di corsa, mordi e fuggi dove a Venezia (solo per fare un esempio) si va a visitare in giorno o forse un fine settimana al massimo, mentre per rappresentare e documentare bisogna calarsi nel posto, conoscere le persone del luogo, ascoltare le vibrazioni che ci trasmette e solo poi iniziare a portare la macchina fotografica all'occhio per cercare di rappresentare ciò che si sente ed il lavoro dovrebbe essere un gruppo di foto che aiutano a fare un discorso completo.
Per quanto attiene al discorso fotografo documentarista, confesso che io mi sento di appartenere a questa categoria e per questo le mie foto possono essere spesso banali in particolare se prese singolarmente, ma il problema maggiore credo che sia in una società sempre di corsa, mordi e fuggi dove a Venezia (solo per fare un esempio) si va a visitare in giorno o forse un fine settimana al massimo, mentre per rappresentare e documentare bisogna calarsi nel posto, conoscere le persone del luogo, ascoltare le vibrazioni che ci trasmette e solo poi iniziare a portare la macchina fotografica all'occhio per cercare di rappresentare ciò che si sente ed il lavoro dovrebbe essere un gruppo di foto che aiutano a fare un discorso completo.
Re: "La banalità del canale"
E Marco scrive
centrifugandoli in modo abulimico
E Carlo scrive
sì, ma lentamente però, dando alle società del tempo la possibilità di metabolizzarli, senza consumarli compulsivamentei grandi temi universali del sentire umano sono stati già indagati profondamente ed espressi nelle grandi vette dell'arte
centrifugandoli in modo abulimico
E Carlo scrive
E io mi domando: ma è la quantità che produce assuefazione e quindi immobilismo? E la responsabilità? Dove sta la responsabilità individuale?Credo che questo attenui moltissimo, se non addirittura annulli, qualunque ambizione della fotografia alla testimonianza o al documento
Buona luce
Nicola
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- Carlo Riggi
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Re: "La banalità del canale"
E mentre continuiamo a riflettere sulle responsabilità individuali, posto quest'altra cartolina-selfie da Venezia, assolutamente irresponsabile.
Ciao
Carlo
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Re: "La banalità del canale"
Intelligente e gradevole intuizione compositiva, realizzata in un bianco e nero impeccabile
Re: "La banalità del canale"
Sei un sinistro-egocentrico.Carlo Riggi ha scritto: ↑dom mag 27, 2018 8:22 amposto quest'altra cartolina-selfie da Venezia, assolutamente irresponsabile.
otto.
- Carlo Riggi
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